Ho scritto Eyja nell’inverno dell’anno scorso. All’epoca, come tutt’oggi, sentivo la necessità di esprimermi, contestando, come fanno già in molti, il comportamento dell’uomo nei confronti dei propri simili, degli animali e nei confronti della Natura. Per farlo ho pensato al modo a me più consono: scrivendo una storia.
Eyja è fondamentalmente, una piccola fiaba romantica, che racconta a modo suo, una crudele realtà: catastrofi petrolifere, scorie nucleari, sperimentazioni militari, OGM, ovvero tutto quel sistema, che quotidianamente studia e lavora per un futuro già deciso, un futuro sintetico e minaccioso verso tutto ciò che è naturale e salutare, senza che noi possiamo fare niente, o almeno non molto...
Poi c’è stata l’eruzione del vulcano islandese: l’Eyjafjallajokull, che ha bloccato per diversi giorni gli aeroporti di molte capitali europee..
E se la terra, essendo un enorme corpo fisico, che respira, avesse una propria coscienza, e se provasse dolore reale? E se potesse reagire, ribellarsi essa stessa, come un corpo malato alla malattia che lo sta divorando? Ho immaginato quel futuro sintetico, cibernetico, che non è poi così distante, l’ho immaginato a modo mio, già avanzato, finito, una terra in fin di vita, e ho aggiunto di contrasto, il suo opposto, ovvero Eyja, un albero, una storia d’amore, un pizzico di magia..
Tutto è nato, dal desiderio di esprimere, raccontando una storia fantastica, il mio dissenso davanti alle cose che vedo oggi, tutti i giorni intorno a me: la raggelante indifferenza verso la salute della Natura e degli esseri viventi, per scopi effimeri e distaccati, come l' economia capitalista e il potere - basti pensare agli OGM appunto, o alla NANOTECNOLOGIA - e del controllo dell'uomo sull'uomo attraverso un esasperante meccanismo tecnologico di controllo.
Sottolineo che non sono una studiosa, non sono esperta di scienza o di nucleare, ma ne so quanto basta, per essere fermamente contraria davanti a una prospettiva futura, così sterile e autodistruttiva!
Il mondo come quello di Eyja, è un mondo fatto di paura, di controllo, di cose nocive: cose che, se ci guardiamo intorno, possiamo ritrovare tranquillamente nella nostra realtà.
L’idea di suddividere in aree le persone, in primis per il colore della loro pelle e poi per la loro posizione sociale, è nata dal pensiero di provare ad applicare alla lettera ciò che dicono molti italiani, ovvero che ognuno deve stare nel proprio paese: proviamo ad immaginare che mondo sarebbe, se tutti dovessimo restare obbligatoriamente entro i nostri confini politici! Ieri c'erano i lager nazisti, oggi ci sono i Cie, e la storia si ripete...
Arrivati al punto in cui le immense città, hanno invaso l’erba, distrutto i boschi, gli animali, i fiori ecc, quindi una situazione estremizzata al 100% alla tecnologia, alla scienza, intesa come Religione, al profitto, in cui le persone sono strumenti di lavoro, quindi cose, come sono strumenti di guerra gli esseri umani costruiti in laboratorio, è stato inevitabile, per me, dover dare una risposta altrettanto assolutista e forte, che non necessariamente vuole far intendere la soluzione, questo è chiaro, ma vuole suggerire una seconda possibilità per ricominciare, un azzeramento concesso in una fiaba, che sicuramente non sarà possibile nella realtà.